Acciai Inossidabili

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Lavorazione degli Acciai Inossidabili

Acciaio inox o acciaio inossidabile è il nome dato correntemente agli acciai ad alto tenore di cromo, per la loro proprietà di non arrugginire se esposti all'aria e all'acqua: il cromo, ossidandosi a contatto con l'ossigeno, si trasforma in ossido di cromo (CrO2) che aderisce al pezzo, impedendone un'ulteriore ossidazione (tale fenomeno è noto come passivazione). Sono una classe estremamente importante di acciai, usata per gli scopi più disparati.


La Storia

La scoperta dell'acciaio inossidabile si deve all'inglese Harry Brearly di Sheffield: nel 1913, sperimentando acciai per canne di armi da fuoco, scoprì che un suo provino di acciaio con il 13-14% di cromo e con un tenore di carbonio relativamente alto (0,25%) non arrugginiva quando era esposto all'atmosfera. Successivamente questa proprietà venne spiegata con la passivazione del cromo, che forma sulla superficie una pellicola di ossido estremamente sottile, continua e stabile. I successivi progressi della metallurgia fra gli anni '40 e '60 hanno ampliato il loro sviluppo e le loro applicazioni. Tuttora vengono perfezionati e adattati alle richieste dei vari settori industriali, come il petrolifero/petrolchimico, minerario, energetico, nucleare ed alimentare.


Tipi di acciaio inossidabile

Il termine acciaio inossidabile (o inox) indica genericamente gli acciai ad alta lega contenenti cromo, generalmente in quantità fra l'11 ed il 30%. Altri leganti che aumentano la resistenza alla corrosione sono nichel, molibdeno, rame, titanio e niobio; in ogni caso, perché si possa parlare propriamente di acciaio, il totale degli elementi leganti non deve superare il 50%. I componenti questa famiglia di acciai sono classificati secondo la loro struttura microcristallina che deriva dalla loro diversa composizione chimica.


Acciaio inox martensitico

Esso ha caratteristiche meccaniche molto elevate ed è ben lavorabile alle macchine. È conosciuto soprattutto con la nomenclatura americana: per esempio l'acciaio al solo cromo è l'AISI serie 400 (da ricordare AISI 410 e 420, con 0,20% < C < 0,40% e Cr = 13% circa; AISI 440 con C = 1% circa e Cr = 17%); nella nomenclatura UNI ha sigle come X20Cr13, X30Cr13, X40Cr14. È magnetico. È anche conosciuto come acciaio "serie 00".

Tipici elementi in esso presenti sono carbonio, manganese, silicio, cromo e molibdeno, ma non nickel; può essere aggiunto zolfo se si necessita di truciolabilità (a scapito comunque delle caratteristiche meccaniche).


L'acciaio inossidabile martensitico è autotemprante, ma dalla temperatura di laminazione alla temperatura ambiente nasce una struttura troppo tensionata; si segue sempre quindi la procedura:

  • ricottura di lavorabilità: essa è svolta col metodo isotermico solo quando si voglia la durezza minima; altrimenti si raffredda a velocità costante, scegliendola in base alla durezza che si vuole ottenere (vedi curve CCT);
  • tempra a temperatura di circa 1000°C e per un tempo sufficiente a sciogliere i carburi di cromo;
  • rinvenimento a temperature diverse a seconda che si voglia privilegiare la durezza, la resistenza alla corrosione o la tenacità.



Gli acciai inossidabili martensitici sono utilizzati soprattutto per la loro elevata resistenza allo scorrimento viscoso, sebbene la loro saldabilità sia estremamente critica e la loro resistenza alla corrosione sia minore rispetto a quella dell'inox ferritico e dell'inox austenitico.


L'AISI 440 è utilizzato per l'utensileria inossidabile (coltello, forbice, bisturi, lametta, iniettore per motore a scoppio).


Acciaio inox Ferritico

Ha un minor tenore di carbonio rispetto al martensitico. Un tipo particolarmente resistente al calore contiene il 26% di cromo. Altri elementi presenti sono il molibdeno, l'alluminio per aumentare la resistenza all'ossidazione a caldo, lo zolfo per facilitare la lavorabilità.

Il limite di snervamento è molto basso e, non potendosi fare trattamenti termici per l'assenza di punti critici, si esegue la ricristallizzazione o l'incrudimento. Si consiglia di non scaldarlo oltre gli 850°C per non ingrossare il grano e di non sostare tra i 400 e i 570°C nel raffreddamento per non incorrere nella fragilità al rinvenimento.

Le proprietà fondamentali sono: moderata resistenza alla corrosione, che aumenta con la percentuale di cromo; magnetizzabile; non temperabile e da usare sempre dopo ricottura; la saldabilità è scarsa, in quanto il materiale che viene surriscaldato subisce l'ingrossamento del grano cristallino a causa del cromo.

Gli impieghi più comuni sono vasellame o posateria di bassa qualità, acquai, lavelli e finiture per l'edilizia. In lamiere sottili si usano per rivestimenti, piastre per ponti navali, sfioratori, trasportatori a catena, estrattori di fumi e depolverizzatori.


Acciaio inox austenitico

È un acciaio contenente Ni e Cr in percentuale tale da conservare la struttura austenitica anche a temperatura ambiente. Viene classificato in base alla percentuale di Ni e di Cr (vedi tabella); nella classificazione ASTM costituisce la serie 3XX.


% Cr % Ni ASTM UNI 18 8 304, 316 X8CN1910, X3CN1911 18 10 321, 347, 348 X8CNT1810,X8CNNb1811 18 13 317 X8CND1712 23 12 309 15 20 310 X8CN2520


La composizione base dell'acciaio inox austenitico è il 18% di Cr e l'8% di Ni, codificata in 18/8. Una percentuale del 2-3% di molibdeno assicura una miglior resistenza alla corrosione (acciaio 18/8/3). Il contenuto di carbonio è basso (0,08% max di C), ma esistono anche acciai inox austenitici dolci (0,03% di C max). L'acciaio inox austenitico può essere stabilizzato con titanio o niobio per evitare una forma di corrosione nell'area delle saldature (vedi più avanti le debolezze di questo tipo di acciaio). Considerando la notevole percentuale di componenti pregiati (Ni, Cr, Ti, Nb, Ta), gli acciai inox austenitici sono fra i più costosi tra gli acciai di uso comune.

Le proprietà fondamentali sono:

  • ottima resistenza alla corrosione;
  • facilità di ripulitura e ottimo coefficiente igienico;
  • facilmente lavorabile, forgiabile e saldabile;
  • incrudibile se lavorato a freddo e non tramite trattamento termico;
  • in condizione di totale ricottura non si magnetizza.


La loro struttura austenitica (con cristallo cfc) li rende immuni dalla transizione duttile-fragile (che si manifesta invece con la struttura ferritica, cristallo ccc), quindi conservano la loro tenacità fino a temperature criogeniche (He liquido). La dimensione dei grani, sensibilmente più elevata di quella degli acciai ferritici da costruzione, li rende resistenti allo scorrimento viscoso; di conseguenza fra gli acciai per costruzione di recipienti a pressione, sono quelli che possono essere utilizzati alle temperature più elevate (600°C). Dato che l'austenite è paramagnetica, questi acciai possono essere facilmente riconosciuti disponendo di magneti permanenti calibrati. Gli impieghi di questi acciai sono molto vasti: pentole e servizi domestici, finiture architettoniche, mattatoi, fabbriche di birra, lattine per bibite e prodotti alimentari; serbatoi per gas liquefatti, scambiatori di calore, apparecchi di controllo dell'inquinamento e di estrazione di fumi, autoclavi industriali. La loro resistenza a gran parte degli aggressivi chimici li rende inoltre molto apprezzati nell'industria chimica.


Gli acciai inox austenitici soffrono però di alcune limitazioni:

  • la massima temperatura cui possono essere trattati è di 925°C;
  • a bassa temperatura la resistenza alla corrosione diminuisce drasticamente: gli acidi rompono il film di ossido e ciò provoca corrosione generica in questi acciai;
  • nelle fessure e nelle zone protette la quantità di ossigeno può non essere sufficiente alla conservazione della pellicola di ossido, con conseguente corrosione interstiziale;
  • gli ioni degli alogenuri, specie l'anione (Cl-), spezzano il film passivante sugli acciai inox austenitici e provocano la cosiddetta corrosione ad alveoli, definita in gergo pitting corrosion. Un altro effetto del cloro è la SCC (rottura da tensocorrosione).


L'unico trattamento termico consigliabile per questa classe di acciai è un quello di solubilizzazione del C a 1050°C, con raffreddamento rapido (per evitare la permanenza nell'area fra 800 e 400°C, dove può avvenire la precipitazione dei carburi di Cr).


Acciaio duplex

Si tratta di un acciaio al cromo ibrido: il tenore di cromo va dal 18 al 26% e quello di nichel dal 4,5 al 6,5%, quantità insufficienti per determinare una struttura microcristallina totalmente austenitica (che quindi rimane in parte ferritica). Quasi tutte le sue varianti contengono fra il 2,5 ed il 3% di molibdeno.


Esistono inoltre forme di Duplex, chiamati "poveri" che non contengono Molibdeno e hanno tenori di Nickel minori del 4.5%.


Le proprietà fondamentali sono:

  • struttura microcristallina peculiare nota come duplex, austenitica e ferritica, che conferisce più resistenza alle rotture per tensocorrosione;
  • maggior grado di passivazione per il più alto tenore di cromo (e la presenza del molibdeno) e quindi miglior resistenza alla corrosione puntiforme (pitting) rispetto agli acciai 18-8 ;
  • saldabilità e forgiabilità buone;
  • alta resistenza a trazione ed allo snervamento.


Gli impieghi più comuni sono: scambiatori di calore, macchine per movimentazione dei materiali, serbatoi e vasche per liquidi ad alta concentrazione di cloro, refrigeratori ad acqua marina, dissalatori, impianti per salamoia alimentare ed acque sotterranee e ricche di sostanze aggressive.


Acciaio inox ad alta temperatura

Questi acciai inox sono stati messi a punto per operare ad elevata temperatura in condizioni ossidanti. La percentuale di cromo è del 24% ed il nichel va dal 14 al 22%.

Le proprietà fondamentali sono: resistenza all'ossidazione (sfaldatura) ad alta temperatura, buona resistenza meccanica alle alte temperature.

Gli impieghi più comuni avvengono in parti di forni, tubi irradianti e rivestimenti di muffole, per temperature di esercizio fra 950 e 1100°C.


Acciaio inox superferritico


È stato ideato per ridurre la suscettibilità alla corrosione alveolare ed alle rotture per tensocorrosione degli inox austenitici. Questi acciai dolci al cromo hanno due composizioni possibili: cromo 18% e molibdeno 2%, oppure cromo 26% e molibdeno 1%.

Le proprietà fondamentali sono le stesse degli acciai inox ferritici, con in più la resistenza alla corrosione alveolare ed alla rottura da tensocorrosione (SCC); saldabilità scarsa o discreta.

A causa della bassa saldabilità gli impieghi sono limitati a particolari saldati di meno di 5 mm di spessore. Sono utilizzati per pannelli e radiatori solari, tubi di scambiatori di calore e di condensatori, serbatoi per acqua calda e tubazioni di circolazione di salamoie nelle industrie alimentari.


Leghe inox austenitiche


Definite anche come leghe per alte prestazioni, superleghe o materiali esotici, sono prodotti con alte percentuali di leganti, oltre il 50% in peso: in pratica un ampliamento degli acciai inox austenitici tradizionali. Sono nate per coprire le debolezze di questi ultimi in fatto di resistenza alla corrosione, sia alveolare che tensocorrosione.

I costituenti sono cromo (20-27%), nichel (25-42%) e molibdeno (3-6%). Queste percentuali elevate conferiscono alle leghe una maggior resistenza alla corrosione da acidi ad alta temperatura ed a forte concentrazione ed alle rotture per tensocorrosione in atmosfera ricca di cloro.

Le proprietà fondamentali sono quelle tipiche degli acciai inox austenitici, ma con una migliorata saldabilità.

Sono specialmente impiegate in alcuni settori dell'industria petrolchimica e chimica dove il problema della corrosione è particolarmente sentito.

Le leghe più utilizzate sono quelle denominate AISI 304 (304 L), 316 (316 L), 321 e 347 (queste ultime due sono versioni migliorate del 304).


Il 304, se portato ad alta temperatura (400°C-840°C, ad esempio durante la saldatura), si sensibilizza alla corrosione intergranulare a causa della precipitazione dei carburi di Cromo (M23C6) sui bordi di grano della struttura metallica. La precipitazione di questi carburi causa una notevole diminuzione del tenore di cromo nelle zone circostanti ai bordi di grano e, se si scende al di sotto del 12%, il film di passività dell'acciaio non è più sufficiente a proteggere il materiale sottostante. Si rischia quindi di avere rotture per corrosione selettiva lungo il perimetro dei bordi di grano.

Per evitare questi problemi si "stabilizza l'acciaio" con delle aggiunte di titanio nel caso del 321 e di niobio (o columbio) nel caso del 347. La stabilizzazione consiste nel fatto che il titanio e il niobio formano dei carburi che sottraggono parte del carbonio alla matrice metallica, evitando che questo elemento possa legarsi al cromo.

Per quanto riguarda il 316 questo inox ha una buona resistenza a Pitting a causa della discreta percentuale di molibdeno (2-3%) ma se questa non fosse sufficiente si può optare per il 317 che contiene percentuali di molibdeno maggiori.


Acciai da ultra alto vuoto e criogenia


Il metallo più utilizzato in UV e in UHV è l'acciaio inox. L'acciaio inox è una lega di ferro, cromo, nichel, con tracce di silicio, carbonio, manganese, molibdeno, niobio e titanio, ed è il costituente strutturale dell'ambiente da vuoto: questo perché è molto reperibile ed economico, ha proprietà di resistenza e solidità meccanica molto elevate, non si tempra, si salda con facilità, ha un basso degasaggio, è abbastanza inerte chimicamente. Sono in commercio vari tipi di acciai inox, sotto notazione AISI (marchio statunitense), che differiscono per percentuale in peso degli elementi costituenti; distinguiamo tra questi i più usati in questo campo:


  • 304 Cr (18%) Ni (10%) C (0,05%)
  • 304 L Cr (18%) Ni (10%) C<0.03% (L = Low Carbon)
  • 316 Cr (16%) Ni (11.3/13 %) Mo (2/3 %)
  • 316 L
  • 316 LN (presenta di azoto disciolto nel materiale)
  • 316 LN ESR (electro slag rifining).



La posizione del ferro all'interno della lega influenza diverse caratteristiche, di elevata importanza per il suo utilizzo. La principale è la magneticità: nella disposizione a corpo centrato il materiale evidenzia proprietà ferritiche, perciò magnetiche, mentre in quella a facce centrate l'acciaio è austenitico.

Nell'UV si necessita di una tipologia d'acciaio austenitico, poiché possiede una struttura molto legata e di conseguenza meno attaccabile chimicamente. La presenza di metalli refrattari, come il molibdeno, aiuta a legare elettro-chimicamente gli atomi di ferro, conferendone maggiore inerzia e un grado di durezza superiore (circa 180 gradi Vickers). La sigla “L” indica la bassa percentuale di carbonio presente. Questa caratteristica fa sì che l'acciaio degasi poco, in quanto il carbonio tende in qualsiasi condizione a legarsi con l'idrogeno, precipitando idrocarburi.


L'annotazione “N” sta ad indicare la presenza di azoto disciolto nella lega. Grazie alle sue proprietà di gas inerte (il legame azoto-azoto è triplo, gli atomi sono molto vicini tra loro e perciò si separano difficilmente), l'azoto funge da schermo sull'acciaio limitandone la contaminazione esterna.

La differenza tra l'acciaio 304 e 316, a parte il costo maggiore e la presenza nel 316 di Mo, è data dalla più elevata austenicità del secondo grazie alla più alta percentuale di nichel. L'acciaio austenitico permette di utilizzare la lega anche nell'UHV, poiché l'amagneticità strutturale le dona un'inerzia quasi totale alle interazioni “deboli” garantendo un vuoto più pulito. La presenza di cromo, nonostante le sue caratteristiche ferriticizzanti, conferisce all'acciaio stabilità ed elasticità, garantendone così duttilità e malleabilità. Resta comunque il fatto che, in questa tecnologia, l'acciaio più utilizzato sia quello austenitico. La sua temperatura di fusione è di 1435°C, tuttavia dobbiamo considerare che, durante la saldatura, nell'intervallo di temperatura tra i 600°C e gli 800°C, si trasforma, o meglio decade, da austenitico a ferritico (come indicato nel diagramma di sensibilizzazione di Schaeffler). Il suo decadimento è più rapido e permanente per gli acciai 304 rispetto ai 316.

Periodo di sensibilizzazione:

  • 304: 10 minuti;
  • 304 L: 30 minuti;
  • 316 L: un'ora.


Maggiore è questo periodo (proporzionale alla presenza di nickel), più il materiale è affidabile.

Per ridurre ulteriormente il degasaggio della lega 316 si effettua il processo di electro slag refining, in cui la stessa viene rifusa in un forno a radiofrequenze, in modo da eliminare le microscorie di ossidi e di carburi, che, oltre a "sporcare" il vuoto, la rendono più ferritica. Il 316 L N ESR, poiché molto costoso, viene utilizzato limitatamente e prevalentemente negli acceleratori di particelle.

L'acciaio è costituente delle camere da vuoto, delle flange e di eventuali altri elementi come bulloni e dadi; in ogni modo, una camera da vuoto in acciaio richiede ulteriori trattamenti finalizzati a diminuire il costante degasaggio di idrogeno dalle sue pareti. Uno dei principali è il vacuum firing, con il quale l'acciaio viene in primo luogo scaldato a 1400°C e poi rapidamente raffreddato, per attraversare celermente la zona di sensibilizzazione senza decadere in ferritico. Così, oltre alla diminuzione della percentuale di azoto sulle superfici, si ottiene un aumento della sua austeniticità.


Passivazione


Per passivazione si intende quel fenomeno in cui un metallo, a causa di un brusco aumento del suo potenziale elettrochimico, tende a comportarsi come un metallo nobile cessando di corrodersi.

Questo arresto della corrosione può avvenire in tempo più o meno lungo; in pratica però interessa il comportamento a lunga durata assai più di quello iniziale.

La teoria più diffusa è che su un metallo si formi un velo tenuissimo di ossido teoricamente inerte e a potenziale pressoché nullo, tale pertanto da non consentire il passaggio di soluzioni di ioni.

Lo stato passivo può tuttavia essere distrutto dalla presenza di acidi altamente corrosivi ed operazioni meccaniche, ma spesso esso si riforma con una certa rapidità non appena scompare la causa alterante.


La saldatura


Fin dal Medio Evo si univano parti in ferro riscaldandole al calor rosso sulla forgia e successivamente martellandole fino a renderle omogenee. Tuttavia, per avere dei procedimenti di saldatura con caratteristiche omogenee e riproducibili, fu necessario arrivare al 1901 con la saldatura ossiacetilenica, in cui si univano le parti per fusione dei lembi. In questo procedimento di saldatura l'energia necessaria alla fusione dei pezzi era fornita dalla combustione di un gas (nel caso specifico acetilene) con ossigeno puro. Raggiungendo temperature sufficientemente elevate (e superiori alla temperatura di fusione del ferro) non era più necessaria l'operazione di martellatura per unire i pezzi, a tutto vantaggio della semplicità e della ripetibilità dell'operazione.


Agli inzi del XX secolo si svilupparono generatori elettrici sufficientemente potenti per generare un arco avente una potenza sufficiente alla fusione del ferro. Il primo procedimento di saldatura che fu sviluppato utilizzando l'energia dell'arco elettrico fu il procedimento ad elettrodo non protetto, attualmente completamente abbandonato a favore del procedimento a elettrodo rivestito, in cui il rivestimento svolge tutta una serie di funzioni fondamentali per la produzione di un giunto di buone caratteristiche. A tutt'oggi (2006) la saldatura a elettrodo rivestito è il procedimento più diffuso nel mondo.


Nel 1925 veniva messo a punto il procedimento di saldatura a resistenza, oggi utilizzato ampiamente in ambito industriale per produzioni di grande serie.

Nel corso della Seconda Guerra Mondiale fu sentita l'esigenza di produrre giunti saldati di buona qualità con una produttività molto maggiore di quella che poteva essere data dall'elettrodo rivestito, quindi negli Stati Uniti fu iniziato lo studio dei procedimenti a filo continuo, ed in particolare dell'arco sommerso, che permetteva una produttività ed una riproducibilità assolutamente maggiori di quelle dei procedimenti ad elettrodo rivestito.


Nel dopoguerra furono sviluppati (anni cinquanta) i procedimenti MIG e MAG per avere una produttività confrontabile con quella dell'arco sommerso, pur con una maggiore flessibilità di impiego. In parallelo fu sviluppato il procedimento TIG, che permetteva un controllo molto preciso delle caratteristiche della saldatura ed una lavorazione continua, che non era permessa dall'elettrodo rivestito.


Infine negli anni settanta furono sviluppati i procedimenti ad energia concentrata, cioè electron beam e laser, che permettono di limitare la zona di materiale modificata dalla saldatura. Attualmente sono in corso studi per la saldatura per diffusione, in cui non si porta a fusione il materiale da saldare, ma si sottopone a pressione ad una temperatura sufficientemente elevata perché gli atomi del reticolo cristallino diffondano attraverso la superficie di separazione dei pezzi, in modo da realizzare giunti a temperature relativamente basse.


Arco Elettrico

L'arco elettrico o arco voltaico è un fenomeno elettrico in cui la tensione elettrica presente tra due elettrodi supera il limite di rigidità dielettrica di un gas e innesca una scarica, con formazione di plasma e conduzione di corrente elettrica. A differenza di una normale scarica elettrica, l'arco elettrico ha la caratteristica di persistere indefinitamente nel tempo fintanto che viene mantenuto il flusso di corrente.


arco elettrico

Arco elettrico, elettrodo centrale di una lampada al Plasma


Il plasma così generato raggiunge una temperatura molto elevata, fino a diverse migliaia di kelvin, ed è perciò in grado di provocare l'evaporazione di qualunque materiale. Per questo motivo spesso gli elettrodi sono realizzati in carbonio (grafite), poiché questo è il materiale con la più elevata temperatura di fusione. A causa dell'elevata temperatura di colore, la luce emessa dall'arco è molto ricca di raggi ultravioletti.

La forma di un arco dipende dalla caratteristiche della corrente applicata; il movimento delle particelle ionizzate che lo costituiscono è influenzato dalla elevata temperatura e dal campo magnetico generato dalla corrente stessa.

L'arco elettrico è sfruttato nella saldatura ad arco, nel taglio al plasma, per la lavorazione di metalli e minerali.

L'arco elettrico è sfruttato anche nell'illuminazione. Fino alla prima metà del XX secolo erano utilizzate lampade ad arco in cui la scarica avveniva in aria libera tra elettrodi di carbonio, si possono trovare ancora lampade di questo tipo in vecchi proiettori cinematografici. Nelle lampade a scarica moderne l'arco viene mantenuto all'interno di un tubo in cui è presente un gas a bassa pressione. Ciò consente di ottenere un flusso luminoso più stabile e allungare enormemente la vita utile degli elettrodi.


L'arco elettrico è sfruttato per riscaldare aria o altri gas nelle gallerie del vento ipersoniche. Il gas, compresso e riscaldato da arco elettrico, viene convogliato attraverso un ugello convergente-divergente dal quale fuoriesce a velocità svariate volte superiori la velocità del suono. Questo getto ipersonico di aria o altro gas viene utilizzato per riprodurre le condizioni del rientro dei veicoli spaziali nell'atmosfera terrestre o dell'ingresso in atmosfere di altri pianeti e , quindi, verificare le capacità di resistenza termo-strutturale degli scudi termici.

L'arco elettrico è un guasto molto comune nelle linee aeree. In particolari condizioni (molto spesso atmosferiche) la rigidità dielettrica dell'aria diminuisce causando tale arco. In genere l'arco elettrico tende ad estinguersi con dei provvedimenti idonei di protezioni degli impianti elettrici.